Dietro l’hardware, l’uomo

Il concetto di Intelligenza artificiale è stato sempre accompagnato da sentimenti ambivalenti: da un lato la fiducia e l’ammirazione per una svolta tecnologica epocale, dall’altro il timore che le macchine possano arrivare un giorno a sostituire l’essere umano in molte occupazioni.

Una delle questioni più gettonate che sorge quando si parla di IA (o AI) è se sia ancora necessaria la nostra presenza per operazioni che le macchine svolgono molto spesso in maniera più veloce e meno costosa.

È opinione diffusa che la tecnologia, in questo caso l’IA, renderà obsoleto il lavoro umano in molti ambiti. Secondo Sidney Fussel invece, per citare il titolo del suo articolo pubblicato da The Atlantic, “Dietro a ogni robot c’è un essere umano”.

Casi celebri

Fussel parte a sua volta da un articolo pubblicato su Bloomberg che ha rivelato come alcuni dipendenti Amazon siano incaricati di ascoltare le registrazioni dei comandi vocali utilizzati per interagire con gli altoparlanti Echo, attraverso l’assistente virtuale Alexa.

➡️ Lo scopo? Perfezionare il software, consentendogli di “imparare” le varie sfumature del linguaggio (accenti, comandi complessi). Insomma, rendere Alexa più “umana”. Amazon ha specificato che i dati sono raccolti in forma anonima, che vengono estratti solamente brevi registrazioni e che sono presenti misure di sicurezza per evitare ogni tipo di abuso.

➡️ Per fare qualche altro esempio, ci sono persone incaricate di analizzare e catalogare i filmati delle telecamere di sorveglianza vendute da Amazon o di insegnare all’IA di Facebook cosa è considerato inappropriato nei diversi contesti per poi moderare adeguatamente i contenuti.

➡️ La questione sollevata in ogni caso è che per molti oggetti basati sull’intelligenza artificiale, essendo ancora essenzialmente dei prototipi, è necessario (ancora) l’intervento umano.

Il paradosso dell’ultimo miglio

Allo scopo di perfezionarsi e avvicinarsi alle funzionalità che promette di fornire, l’intervento umano è quindi necessario per consentire all’IA di imparare e interpretare, nel caso citato di Alexa, nuove sfumature del linguaggio e rispondere in modo sempre più preciso alle sollecitazioni degli utenti.

⭕️ Alcuni ricercatori di Harvard hanno coniato l’espressione “paradosso dell’ultimo miglio” per descrivere questo tipo di collaborazione: le macchine attualmente sono autonome e sono in grado di portare a termine alcuni compiti e operazioni in modo spesso più efficiente, ma senza l’apporto umano non è possibile raggiungere il grado di perfezionamento richiesto per determinati servizi, basati soprattutto sull’IA.

⭕️ Attraverso il lavoro degli esseri umani e con l’aumento della quantità di dati selezionati, l’IA diventa infatti sempre più precisa e a sua volta più attenta nel selezionare le informazioni, che utilizza come una banca dati, filtrata però da persone fisiche.

⭕️ La tesi universalmente riconosciuta che l’IA possa sostituire gli esseri umani contrasta quindi con il lavoro “nascosto” delle persone che si adoperano per perfezionarla: è in grado di funzionare solo grazie a una stretta collaborazione uomo-macchina.

Un tocco umano

Uno storico slogan ideato da Intercomp recita “Dietro l’hardware, l’uomo”, per rimarcare come, nonostante gli enormi e rapidi progressi della tecnologia, l’essere umano sia sempre stato considerato una parte fondamentale per il corretto funzionamento delle macchine.

✅ È sempre più difficile riconoscere il ruolo centrale della figura umana all’interno di un mondo di dispositivi che sono ormai in grado di gestirsi in modo autonomo.

✅ Ma negare la presenza delle persone dietro allo sviluppo tecnologico significa privarlo del tocco umano, che può trasformare un insieme di parti meccaniche in un oggetto in grado di fornire servizi utili e indispensabili, oltre che di supportare e rendere più efficiente il lavoro quotidiano di ognuno di noi.

L’intelligenza artificiale è in grado di raggiungere risultati potenzialmente eccezionali, ma raramente può farlo da sola. Ecco perché “dietro l’hardware, l’uomo”.